«Chi dice che una ragazza non può fare il giardiniere?»
«Scusi possiamo scattare una foto tutti assieme? Non abbiamo mai visto uno scricciolo come lei sollevare da sola sacchi di cemento da venticinque chili!». Sharon Danesi, 24 anni di Minusio, ride mentre racconta l’aneddoto accadutole in un negozio ticinese di materiali da costruzione. Tuttavia, dietro il suo sorriso, si percepisce un certo disagio. Occhi chiari e corpo davvero minuto, la giovane è stufa di sentirsi una mosca bianca a causa della sua scelta professionale. Tuttavia un’altra c’è: è Jodi Vezzoli, 17 anni, nata a Lostallo.
Sharon si è diplomata giardiniera paesaggista due anni fa. Jodi invece è al secondo anno di apprendistato. Ambedue sono state assunte dal Garden Center Bürgi a Camorino, dove da colleghe sono diventate amiche. «Imparo molto da lei», dice Jodie. «Non voglio prendermi meriti che non ho, tuttavia, nel mio piccolo, cerco di fornirle consigli», le fa subito eco Sharon.
L’apprendista è più introversa della diplomata: quando Jodie tronca per timidezza il discorso, subentra subito Sharon con approfondimenti e dettagli.
«Lavorare al chiuso? Sarebbe la morte!»
Quando le incontriamo, indossano ancora scarponi e tuta perché hanno appena finito di lavorare in due squadre distinte di paesaggisti. Le due ragazze sprizzano energia da tutti i pori malgrado abbiano passato la giornata a pulire rocce dalle erbacce e a spostare piode da un sentiero all’altro sotto la stecca del sole. L’entusiasmo per il loro lavoro è palpabile. Sharon e Jodie amano stare all’aria aperta perché altrimenti, come spiega l’apprendista «se dovessi restare chiusa in un ufficio, per me sarebbe la morte».
Non ci vuole un fisico da pesi massimi
Il paesaggista lavora con qualsiasi tempo: pota grandi alberi, costruisce muri a secco, sposta cataste pesanti. Si tratta di un lavoro duro. Tra i requisiti richiesti dalla scuola per questo ramo del giardinaggio, figura la resistenza fisica. Tuttavia, quando lo ricordiamo, le due giovani alzano gli occhi al cielo.
«D’accordo, è un mestiere pesante - rispondono quasi irritate - tuttavia lavoriamo quasi sempre in squadra, quindi ci si aiuta a vicenda, e se per caso ci ritroviamo da sole su un cantiere, ci ingegniamo sempre per alleviare lo sforzo, esattamente come fanno i nostri colleghi uomini». Per Sharon «non ci vuole un fisico da pesi massimi: se c’è la volontà, non c’è nulla che non si possa fare. I blocchi in verità sono soltanto nella nostra testa!»
«La mia famiglia si è arrabbiata molto»
Soltanto grazie alla sua caparbietà, la giovane ventiquattrenne è riuscita a tener testa ai suoi genitori, all’epoca molto preoccupati per la scelta professionale della loro figlia. «Non l’hanno presa molto bene - confida - era chiaro che quello della paesaggista era un mestiere che a loro non andava a genio: mi vedevano troppo esile; troppo fragile. Malgrado ciò, raggiunsi la certezza di aver imboccato la strada giusta già al termine del mio primo stage. Questo mestiere mi piaceva tantissimo! Così, non diedi più retta a nessuno e proseguii a testa bassa lungo il mio cammino».
Jodi, invece, ha avuto vita più facile. Avendo sempre aiutato mamma e papà fin da piccolina nei lavori all’aperto, la sua scelta di diventare paesaggista è subito apparsa come un’ovvietà in casa Vezzoli.
La parentesi da operaia
Nel percorso di Sharon, ci fu però una sbandata. Dopo due anni di apprendistato come paesaggista, la giovane mollò tutto e optò per una formazione da muratore. «Decisi così, all’improvviso». Per tre anni lavorò per due grandi imprese edili ticinesi, poi iniziò a sentire la mancanza del verde e tornò al suo primo amore. «Avevo capito che mi piaceva la continuità. L’operaio, una volta costruita una casa, non ci entra più; invece noi torniamo con regolarità nei giardini che abbiamo realizzato, monitoriamo la salute delle piante, rimuoviamo le erbacce, apportiamo le modifiche necessarie. Siamo in continuo dialogo con la natura e ciò ci fa crescere tanto».
Più motivazione e serietà nelle ragazze
«Per noi la passione è tutto e queste due giovani hanno dimostrato entusiasmo e grinta fin dal primo istante» spiega Paul Bürgi. Secondo il cotitolare del centro di Camorino, non si tratta di un’eccezione: le ragazze di oggi sembrano aver più voglia di fare rispetto ai loro coetanei uomini. Potrebbe sembrare strano ma «ci siamo accorti che, almeno nel nostro campo, le giovani si avvicinano a questa professione con più motivazione e serietà, per questo che le assumiamo volentieri».
Il problema è che non ci sono tante ragazze che scelgono questo mestiere: nella classe di Jodie ce ne sono soltanto tre su venti. Stessa musica, nei ricordi d’apprendista di Sharon. Sicuramente non è di grande aiuto il fatto che la società lo consideri come uno dei classici «lavori da uomo», come si diceva una volta. Soprattutto a sud delle Alpi.
Battute da spogliatoio maschile in cantiere
Sharon e Jodi si ritengono molto fortunate «perché noi abbiamo trovato un posto di lavoro eccezionale, dove regna il rispetto». Tuttavia altre loro colleghe raccontano di un clima da spogliatoio maschile sui cantieri, con battutine continue che le mettono a disagio. «Io invece sono sempre stata accettata. Anzi, quando seguivo l’apprendistato di muratore, ricordo che i miei compagni mi temevano malgrado fossi ancor più minuta di oggi» racconta ridendo. «Se fai il muratore mi tiri una secca!» mi dicevano; e io rispondevo con una tranquillità serafica: «Se fate i bravi, non rischiate nulla. Ma state attenti!».