Un ambasciatore ticinese alla corte di Federico X di Danimarca
Danimarca e Svizzera hanno molti aspetti in comune. Dall’estensione del territorio alla popolazione, fino al livello di vita invidiabile. Non a caso, si trovano spesso insieme nella classifica dei primi dieci Paesi più felici al mondo, secondo il World Happiness Report. Le relazioni bilaterali fanno leva su interessi condivisi, tra cui l’attenzione per l’ambiente, lo sviluppo sostenibile, ma anche la ricerca, la formazione e l’innovazione. La Danimarca, ancora, vanta un forte senso di responsabilità comune per il benessere sociale, che si riflette in diversi ambiti. Un asso nella manica di questo Paese nordico è anche il sovrano regnante, che ha un evidente impatto sulla popolazione e le relazioni internazionali. Ora, dopo Margherita II, la regina intellettuale e poliglotta che ha modernizzato la monarchia, tocca a Federico X. La sovrana, infatti, lo scorso dicembre – all'improvviso – ha abdicato a suo favore dopo 52 anni di regno. Di questo, e non solo, abbiamo parlato con Mauro Reina, ambasciatore di Svizzera di stanza a Copenaghen, diplomatico con 34 anni di carriera alle spalle in diversi continenti. Un’esperienza che gli ha permesso non solo di rappresentare il nostro Paese, ma anche di essere testimone della storia e di avvenimenti eccezionali. Come questo avvicendamento.
Ambasciatore Reina, che impressione
ha avuto della Danimarca all’indomani dell’abdicazione di Margherita II e
della successione al trono di re Federico X?
«Sono
arrivato in Danimarca come ambasciatore della Svizzera da sei mesi e non mi
aspettavo certo che la
regina desse le dimissioni. Come tutti i danesi del resto, dai politici alla popolazione: nessuno aveva previsto
questo annuncio di Margherita II alla fine del tradizionale discorso alla
nazione del 31 dicembre.
La notizia mi ha colto di sorpresa mentre ero in auto a Copenaghen e stavo
andando a festeggiare
il Capodanno. La regina di Danimarca, Margherita II, ha annunciato che avrebbe abdicato
il 14 gennaio dopo 52 anni di regno».
I danesi come hanno accolto questa decisione improvvisa?
«C’è
stato un momento iniziale di sgomento da parte dei danesi, ma poi tutti hanno
approvato questa decisione.
Il periodo di transizione è stato cortissimo perché il nuovo re, Federico X, si è
insediato sul
trono di Danimarca il 14 gennaio scorso. Pare che Margherita II abbia dato la
notizia della sua abdicazione
al figlio solo tre giorni prima dell’annuncio ufficiale. La cerimonia di
intronizzazione di
Federico X, poi, si è trasformata in una festa popolare. E questo perché, allo stesso tempo, la
folla ha ringraziato la
sovrana uscente per i 52 anni di regno e ha accolto con entusiasmo il nuovo re
con la regina consorte. Questa decisione, al passo con i tempi, probabilmente verrà imitata dalle altre monarchie
scandinave. Anche perché il cambio di un regnante per sopraggiunta morte è sempre
un evento doloroso».
Lei ha avuto ancora la possibilità
di conoscere la regina di Danimarca….
«Sono
stato fra gli ultimi ambasciatori che hanno presentato le credenziali a
Margherita II, lo scorso
settembre. In seguito, il 3 gennaio ho partecipato a un ricevimento di scambio
di auguri che la regina
organizza con il corpo diplomatico nel castello di Christiansborg. La sovrana di Danimarca era presente insieme ai principi ereditari. Margherita
II rappresentava il
suo Paese a tempo pieno e, ora, avrà più tempo per coltivare i suoi numerosi
interessi culturali e hobby.
Sia Federico X sia Mary di Danimarca godono di grande popolarità e sono
impegnati come ambasciatori
degli interessi economici danesi nel mondo. In Svizzera non ci rendiamo
conto che le monarchie hanno una carta importantissima da giocare nelle
relazioni internazionali.
Il sovrano, che regna per lungo tempo, non dipende dagli umori degli elettori e
ha un impatto
diverso da un capo di Stato eletto. Sono in diplomazia da 34 anni e ho vissuto
da vicino
l’impatto in vari Paesi della visita di Stato di un re o di una regina».
Quali affinità ci sono tra Danimarca
e Svizzera?
«Premetto
che sono ancora in fase di apprendistato, perché quando un diplomatico arriva in
un nuovo
Paese ha bisogno di almeno un anno per capire come funziona. Svizzera e
Danimarca sono due
Paesi relativamente piccoli, ma prosperi e caratterizzati da un livello di vita simile e
invidiabile. Entrambi vivono
tanto sull’export, del resto è il destino dei piccoli Paesi che non hanno
un mercato interno
sufficiente per smaltire la loro produzione. Si tratta anche di due Paesi
diversi: la Danimarca
è molto più omogenea della Svizzera, plurilingue e organizzata in cantoni,
ospita una percentuale
di stranieri molto minore ed è conosciuta in Europa per la politica molto
restrittiva in ambito
migratorio. Ho l’impressione che qui l’individuo conti, ma che abbia molta
importanza anche
il gioco di squadra. Per quanto riguarda la vita familiare, la Danimarca è
eccezionale, in particolare
per chi ha dei figli piccoli che vanno al nido: questo Paese permette di conciliare al
meglio il lavoro e
la vita privata. In ambito internazionale, Svizzera e Danimarca promuovono la
democrazia e il rispetto
dei diritti umani e del diritto internazionale, ma nel caso del conflitto in
Ucraina hanno approcci
diversi, ad esempio per quanto concerne la fornitura di armi. La Danimarca è
membro dell’Unione Europea
e della NATO e intrattiene relazioni molto strette con gli Stati Uniti. Mi ha
sorpreso l’unità del popolo danese a favore dell’appoggio all’Ucraina».
Perché la Danimarca non condivide la
neutralità della Svizzera riguardo all’Ucraina?
«La
Svizzera è situata al centro all’Europa, protetta indirettamente dalla NATO e
lontana migliaia di chilometri dal territorio del conflitto Russia-Ucraina.
Invece, la Danimarca è molto più vicina
alla zona teatro di guerra, ha un forte legame con i Paesi Baltici e ancor più
saldo con tutti i Paesi
scandinavi. C’è la convinzione che questo appoggio all’Ucraina sia in fondo
anche una difesa
del resto del continente».
In Danimarca c’è grande attenzione
agli effetti del cambiamento climatico e all’energia rinnovabile, un tema caro anche
alla Svizzera.
«La
produzione di elettricità in Danimarca, almeno nei mesi estivi, deriva
unicamente dalle energie rinnovabili.
In Groenlandia, che fa parte del Regno di Danimarca ma non dell’Unione Europea,
gli effetti
del cambiamento climatico sono evidenti e alquanto drammatici. Questi effetti contribuiscono ad aumentare
la consapevolezza della popolazione. È meno noto, per quanto riguarda l’impatto dell’agricoltura
sull’ambiente, il fatto che questo Paese scandinavo sia il più grande produttore
pro-capite
di carne suina del mondo. Anche i danesi, insomma, hanno qualche compito da fare, ma per
quanto riguarda la
produzione energetica sono più avanti di noi. La Danimarca ha scelto da almeno
40 anni di non avere
energia nucleare e ha puntato molto sull’energia eolica. Questo settore
rappresenta anche un terzo
del suo export, che si affianca per importanza a quello farmaceutico».
Come è la politica fiscale danese?
«È
stata una sorpresa venendo dalla Svizzera, dove a livello politico si cerca di
limitare l’imposizione fiscale
e di favorire la concorrenza tra i cantoni e i comuni. Tra i danesi provenienti
dalle classi più agiate
nessuno si lamenta del peso fiscale, anche se è costretto a lavorare fino ad
agosto solo per pagare
le tasse. E questo perché c’è un ritorno tangibile. In Danimarca c’è uno stato sociale
molto forte, con infrastrutture
all’avanguardia. Mi sembra che la gente accetti i sacrifici richiesti perché vede dove
vanno a finire i soldi versati».
A quali obiettivi sta lavorando
nelle relazioni tra Danimarca e Svizzera?
«L’obiettivo
principale è quello di rafforzare i legami tra i due Paesi. Proprio
questa settimana il Consiglio
federale ha deciso di firmare una dichiarazione d’intenti sulla cooperazione
bilaterale con la
Danimarca nei settori della formazione universitaria, della ricerca e
dell’innovazione. Questo memorandum,
che sarà firmato a Copenaghen il prossimo 20 marzo dal Consigliere federale Guy Parmelin
e dalla sua omologa danese, crea le condizioni per una collaborazione ancora più
stretta tra Università,
istituti di ricerca e imprese in ambiti come il quantum, ma anche nella ricerca farmaceutica.
Si tratta di Paesi all’avanguardia su questi temi: ci sono anche fondazioni
e istituti
che dispongono di grandi risorse per intensificare gli scambi. Molti giovani
svizzeri, una volta
terminata l’Università, vengono in Danimarca a lavorare nell’ambito della
ricerca. E viceversa».
Che cosa le manca del Ticino, il cantone in cui è
nato?
«Sono
originario di Agno, dove la mia famiglia vive da quattro generazioni. Del Ticino
mi mancano il
clima, soprattutto durante l’inverno danese, e gli affetti. Copenaghen è una
città che offre di tutto e
di più in ambito culturale, sportivo e gastronomico, tuttavia ho nostalgia di
certi piatti tipici ticinesi,
come la polenta».