Sotto la lente

Quando l'autostima si misura in like

Il legame tra giovani ed esposizione sui social si fa sempre più stretto e più precoce e la valutazione del proprio valore ne può risultare fortemente influenzata – Torniamo sull'argomento con Lara Zgraggen, responsabile del progetto Prevenzione all’uso della tecnologia nei giovani per l’ASPI
Irene Solari
13.05.2022 14:34

Adolescenti, ragazzini, ma anche bambini. E social media. Un legame sempre più stretto e sempre più precoce. Legame che va osservato e gestito con particolare attenzione per non rischiare che i più giovani siano esposi a rischi o vengano trascinati in spirali di negatività e sovraesposizione. Soprattutto per quanto riguarda ideali, obiettivi di vita, culto dell’immagine e valutazione (o svalutazione) di sé stessi. Il rischio è di incorrere in troppa esposizione, per troppo tempo e troppo presto.

L’età si abbassa

L’età del primo accesso ai social e alle piattaforme streaming si sta abbassando sempre di più. Se un tempo il fenomeno si focalizzava sugli adolescenti, adesso coinvolge anche i bambini di 9-10 anni. Vulnerabili e facilmente influenzabili, che rischiano più degli adulti di essere colpiti da modelli sbagliati, con un’autostima e un carattere ancora “in costruzione”. Un’influenza, quella dei social sui giovani, che varierebbe anche a seconda del genere. Secondo uno studio dell’Università di Cambridge, citato dal britannico Guardian, le ragazze tendono a mostrare le fragilità legate alla sovraesposizione già dagli 11 ai 13 anni, mentre i maschi sono confrontati con questi problemi leggermente più tardi: tra i 14 e i 15 anni.

«È facile cadere nei feed delle persone belle»

Tra i social più popolari tra i giovani ci sono sicuramente Instagram e TikTok. E sarebbe proprio il primo ad avere più impatto sui giudizi dei ragazzi. Un impatto che viene dal quotidiano confronto con le immagini e le vite apparentemente perfette degli influencer. «Spesso i più giovani credono a tutto ciò che vedono o che viene detto loro su Instagram o su TikTok dagli influencer», si legge in una testimonianza di una studentessa 20.enne al Guardian. Credono ai corpi perfetti, alla bellezza surreale, a immagini impeccabili. Senza accorgersi che spesso e volentieri è tutto creato ad arte, filtrato e modificato con cura in ogni dettaglio. «È facile annegare nel feed di Instagram delle persone belle» ammette la ragazza che ha vissuto a 15 anni l’esperienza dell’anoressia. Inizialmente passare il tempo sui social le aveva fornito la motivazione per allenarsi, ma poi ha cominciato a influenzare il modo in cui si vedeva fisicamente. «Mi sentivo come se il mio corpo non fosse abbastanza perché, anche se andavo spesso in palestra, il mio fisico non assomigliava ancora a quello delle influencer».

Insoddisfazione fisica

L’aspetto fisico e l’apprezzamento che ne i giovani ne hanno è un punto cruciale in quella che è l’influenza dei social. Nonostante le immagini esposte nelle vetrine social siano molto spesso artefatte, i disagi psicologici che ne possono derivare sono reali. Una psicoterapeuta, sentita in tal proposito dal Guardian, ha dichiarato di avere tra i suoi clienti per lo più giovani ragazze con disturbi alimentari, «ne sono inondata» ha ammesso. Tra queste pazienti, ci sono anche bambine di nove anni. Secondo la psicoterapeuta «l’uso dei social media insieme all’effetto della pandemia, hanno decisamente aggravato la situazione».

I social non vanno demonizzati: non diciamo “non usare”, spieghiamo invece “come usare”
Lara Zgraggen

La relazione che lega i più giovani e i social media è delicata e necessita di qualche attenzione supplementare. Per capire meglio di cosa parliamo abbiamo posto qualche domanda a Lara Zgraggen, responsabile del progetto Prevenzione all’uso della tecnologia nei giovani per l’ASPI, Fondazione della Svizzera italiana per l’aiuto, il sostegno e la protezione dell’infanzia. Attiva nella sensibilizzazione sia alle Elementari che alle Medie, nell’uso dei social e nei rischi che ne possono derivare.

Non demonizzare

Innanzitutto, è importante ribadire il concetto che non va demonizzato l’uso dei social e di determinate app. Andrebbero semplicemente usate con cautela e guardate con i giusti occhi. Seguendo i profili “positivi” che non trasmettano all’utente una sensazione spiacevole, deprimente o di inadeguatezza. Insomma, che non abbassino l’autostima. Come spiega Lara Zgraggen, «non diciamo “non usare”, spieghiamo invece “come usare” il mezzo social».

Controllo

La tendenza attuale dei giovani, ha spiegato Zgraggen, è quella di migrare verso i social dove l’adulto è meno presente. Via libera quindi a Instagram e TikTok, mentre Facebook ha perso pressoché ogni forma di attrattività. Una sorta di fuga dal controllo parentale. Ma le regole sono importanti, soprattutto quando si tratta di stabilire il tempo da dedicare ai social. «Una buona parte dei bambini e adolescenti che incontriamo ha delle regole sull’uso dei social date dai genitori. Esistono anche dei filtri che permettono di vedere le attività del figlio e monitorarne il tempo trascorso online. Quindi un po’ di controllo c’è. Però poi ci sono anche piccoli di dieci anni che hanno il profilo TikTok e Instagram. Social che, di fatto, permettono la creazione di un account a partire da 13 anni. Si viene a creare un paradosso. Un bambino di quell’età non ha le competenze cognitive ed emotive per gestire quel mondo, è un po’ presto». A meno che non ci sia la presenza costante dell’adulto.

I ragazzi si accorgono di passare troppo tempo sui social, non fanno i compiti, se gli si chiede di staccare si arrabbiano tantissimo e vanno in crisi, ma non ce la fanno a smettere
Lara Zgraggen

Tempo e regole

La gestione del tempo dedicato ai social è già complicata da far quadrare per gli adulti, e per i bambini è ancora peggio. «Vengono letteralmente assorbiti dai social e non hanno più tempo da dedicare allo studio – spiega la nostra interlocutrice –, ne parliamo sia alle elementari che alle medie, in tanti hanno già fatto l’esperienza della difficoltà di staccare dal mondo virtuale – parliamo anche di videogiochi – li invitiamo ad ascoltarsi, a captare i segnali. Una cosa che i ragazzi sanno fare molto bene: quando qualcosa è troppo lo sentono». Questo però non significa riuscire a gestire il disagio. «I ragazzi ci dicono di accorgersi di essere spesso nervosi, non fanno i compiti, non escono con gli amici, se gli si chiede di staccare si arrabbiano tantissimo e vanno in crisi», ma non ce la fanno a smettere o, come dicono loro, «a disintossicarsi». Da questi segnali si capisce che bisogna intervenire, da soli è difficile farcela. Servono regole, per quanto noiose o faticose, sono fondamentali perché aiutano a non perdersi.

«Vorrei che mi togliesse il telefono dalle mani»

Spesso i giovani cercano proprio queste regole, capiscono che li aiuterebbero, prosegue Zgraggen, «quando dico questa cosa nelle classi, loro sono d’accordo. Perché un bambino senza regole, in questo mondo, è proprio perso». La nostra interlocutrice ci fa un esempio: «Una ragazzina mi raccontava una volta che lei passa giornalmente tanto tempo su TikTok, e ha proprio detto che vorrebbe che sua mamma entrasse in casa e le togliesse il telefono dalle mani. Aveva la consapevolezza che il tempo sui social fosse diventato troppo e ingestibile». Importante è però anche – precisa Zgraggen – l’esempio che noi adulti diamo loro. Anche ai “grandi” può succedere di perdere molto tempo online, «non vogliamo fare i moralisti con i ragazzi, perché poi magari arrivano a casa e vedono i genitori sempre connessi, per lavoro o per svago».

Fare l'influencer è una vera e propria professione ci sono regole, contratti, serve un’età per farlo e ci vogliono competenze tecniche
Lara Zgraggen

L’influencer? «Uno su un milione»

Per quanto riguarda il culto dell’immagine via social Zgraggen ci spiega che «è un tema che va trattato, il DSS con Radix stanno sviluppando un progetto legato all’immagine di sé e alla sovraesposizione. Quindi anche a tutto il concetto di autostima». Un argomento di cui Zgraggen non tocca espressamente nelle classi ma parla spesso di influencer con i ragazzi. «Ci capita di sentire dei bambini che dicono: ho creato il canale YouTube perché vorrei diventare uno youtuber, ho aperto un profilo perché vorrei diventare un’influencer o una tiktoker». Una prospettiva nella quale il proprio riconoscimento viene misurato in like. «Succedere raramente, per fortuna, ma ci capita di sentire associare il like al valore di sé. Se raccolgo tanti like vuol dire che valgo, se no, non valgo». La tua immagine vale se sei popolare, se hai followers e se diventi ricco. A volte si sente di bambini che dicono: «Da grande faccio l’influencer». Zgraggen ci spiega come fare per approcciarsi a questo ragionamento nel modo corretto. «È importante far rendere conto i ragazzi che, di fatto, “fare l’influencer” è una professione: ci sono regole, contratti, serve un’età per farlo e ci vogliono competenze tecniche. Ma la cosa più importante è che il più delle volte quello che si raccoglie non è quello che si spera». Ci si aspetta la popolarità e invece arrivano tanti commenti negativi. «Perché alla fine quelli che hanno successo sono uno su un milione, questo lo diciamo ai ragazzini. È come per il calcio: chi vuole diventare Cristiano Ronaldo? Tutti! Ma poi, chi ce la fa realmente?».

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