Cultura

La Treccani: «Il vocabolario dei giovani è ristretto»

Carlo Maria Ossola, filologo, è una delle figure di spicco della letteratura e della cultura italiana e dallo scorso anno è anche ai vertici della famosa enciclopedia
Docente, saggista, ha scritto più di 28 libri e firmato studi importanti. L’American Academy of arts & sciences di Cambridge (MA) lo ha definito «un portavoce della letteratura italiana al di fuori dell’Italia».
Maria Cristina Minicelli
06.04.2025 18:00

Carlo Maria Ossola, filologo, è una delle figure di spicco della letteratura e della cultura italiana. Ricercatore, saggista, ha insegnato, fra l’altro, a Ginevra (dove è stato ordinario di Letteratura italiana) mentre in Ticino è stato direttore dell’Istituto di studi italiani (ISI). Ha soprattutto insegnato al Collège de France (1999-2020). Lo scorso anno è stato designato presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani per il quinquennio 2024-2029.

Professore, partiamo dal suo ultimo incarico: esiste ancora il concetto di cultura enciclopedica nel nostro mondo globalizzato?
«Se la cultura del mondo contemporaneo fosse effettivamente universale, il ruolo dell’enciclopedia resterebbe primario. Una cultura che abbracci il globo intero corrisponde a una enciclopedia che si occupi del mondo intero. Il paradosso è che, in realtà, questo mondo globalizzato non diffonde una cultura universale, che tenga cioè conto di tutte le varietà, le pluralità, le ricchezze delle singole culture nazionali, lingue regionali, e dialetti, ma fa passare, concentrandole in poche piattaforme, opinioni, punti di vista estremamente ridotti di numero, e questo rende il mondo piatto, uniforme, e depauperato».

Dunque l’enciclopedia ha ancora un grande valore in termini di conoscenza?
«L’enciclopedia è un sapere posto in circolo, cioè a portata di mano, vale a dire che l’essenziale, è ricondurre «a casa» quanti più contenuti possibili e non imporre universalmente pochi contenuti controllati da uno solo. C’è contraddizione tra il concetto di globalizzazione quando voglia dire rendere globale il pensiero di uno o di pochi rispetto al concetto tradizionale di «enciclopedia» (che va da Clemente Alessandrino, Stromati, a Solino all’Encyclopédie, alla Treccani), cioè di rendere disponibili al singolo quanti più saperi nella loro pluralità. È un percorso inverso: la globalizzazione va da una singola «centrale» ai consumatori, mentre invece l’universalità prende dall’universo e lo porta al singolo uomo».

È possibile difendersi dal dominio satellitare imposto dall’imprenditore Elon Reeve Musk?
«Se viene coltivato l’uomo come cittadino, inizia un processo di confronto, di dialettica, di mediazione, di riconoscimenti, quindi un processo estremamente articolato. Ma se invece si vuole ottenere soltanto un consumatore, prima o poi questo consumatore dirà: se devo essere solo consumatore, ebbene concentrerò sui prodotti quello che mi rimane del diritto di scelta, di elezione. Un cittadino esplica molte funzioni e anche missioni, un consumatore può solo astenersi da… Il risultato è che Tesla sta scemando da per tutto nelle prenotazioni. In Germania, dove l’imprenditore Musk ha espresso dall’esterno pareri che potevano influenzare le elezioni tedesche, il risultato è che le prenotazioni di Tesla sono scese quasi del 60%».

Torniamo al suo incarico di presidente. La Treccani sta festeggiando 100 anni ed è l’unica enciclopedia in Europa. Qual è l’elisir della sua lunga vita?
«Prendiamo come esempio la lingua, questione che appassiona. Sono in 600 mila coloro che cliccano ogni giorno sulla piattaforma digitale il vocabolario Treccani. C’è tutto un lavoro a monte, l’Osservatorio sulla lingua, che rileva le parole più in uso, i neologismi, gli anglicismi o altre parole straniere che vengono usate nei vari veicoli di comunicazione, giornali, e social. Poi l’Osservatorio fa una selezione tra le parole che possono venire attestate e ancora un’altra selezione tra quelle che possono durare, cioè essere affidate al vocabolario scritto. C’è un lavoro di scrematura a più livelli».

Cosa significa questo lavoro in concreto?
«Significa due cose. La prima: il vocabolario attivo dei giovani si sta purtroppo riducendo, a dimensioni che in alcuni casi rendono quasi afasico il singolo, perché meno parole hai a disposizione meno sai definire le cose e meno saprai padroneggiarle. Secondo: nonostante questo, tuttavia, vediamo che c’è una sorta di incremento di produzione di parole o di mezze parole o di termini accorciati o di pure sillabe, che appunto perché non «digerite» dalla ruminatio, come si diceva nel medioevo, vengono quasi immediatamente sputate fuori, cioè non assimilate ma riproiettate, e si produce quindi una transitorietà effimera della parola pronunciata».

Tuttavia il processo linguistico continua.
«Sì, la lingua mostra costantemente la propria vitalità. Sempre ci dimentichiamo che non siamo noi gli inventori di una lingua, ma, verrebbe da dire alla francese, siamo parlati dalla lingua che parliamo. Quindi la lingua è forse il testimone del doppio esercizio che costantemente dobbiamo produrre in noi stessi e fuori di noi: da un lato esprimerci, ma sapendo che ci esprimiamo con parole che ci preesistono; se vogliamo quindi ben esprimerci, dobbiamo essere sempre in sintonia con il nostro passato, con la lingua che ci ha fatti».

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