Palma d'oro ad «Anatomie d'une chute» di Justine Triet
La Palma d'oro del 76. festival di Cannes assegnata dalla giuria presieduta da Ruben Östlund è stata vinta da «Anatomie d'une chute» della francese Justine Triet.
Il thriller lungo due ore e mezza è un giallo torrenziale che indagando su un suicidio/omicidio mette sotto la lente di ingrandimento una famiglia particolare, quella composta da Sandra (Sandra Hüller), scrittrice tedesca che vive insieme al marito, anche lui scrittore, Samuel (Samuel Theis) e al figlio adolescente non vedente Daniel, in un remoto chalet di montagna sulle Alpi francesi.
In corsa c'era anche la coproduzione italo-franco-svizzera «La chimera» di Alice Rohrwacher. Il film è ambientato negli anni '80, nel mondo dei «tombaroli» e racconta di un giovane archeologo inglese coinvolto nel traffico clandestino di reperti archeologici. È stato coprodotto da Amka Films Productions di Savosa e dalla Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (RSI).
Quanto agli altri premi, il Grand Prix è stato attribuito a «The Zone of Interest» di Jonathan Glazer, il Premio per la miglior regia a Tran Anh Hung per «La Passion de Dodin Bouffant» e il Premio per la migliore sceneggiatura a Sakamoto Yuji per «Monster» di Kore-eda Hirokazu.
Migliore attrice è Merve Dizdar per «About Dry Grasses» di Nuri Bilge Ceylan, Miglior attore Koji Yakusho per «Perfect Days» di Wim Wenders.
Il Premio della Giuria è andato a «Les Feuilles Mortes» di Aki Kaurismäki e la Camera d'Or a Ben Trong Vo Ken Vang per «L'arbre aux papillons d'or» di Thien An Pham. Infine, la Palma d'oro per il miglior cortometraggio è stao conferito a «27» di Flóra Anna Buda.
Dall'alto delle 2 Palme d'oro conquistate in rapida sequenza (la seconda un anno fa con Triangle of Sadness), il presidente della giuria Ruben Östlund impone subito la legge del silenzio quando - a verdetto annunciato - i giornalisti gli chiedono se il massimo premio a Justine Triet sia stato deciso all'unanimità. «Non si racconta mai quello che è successo - dice Östlund -, magari si saprà tra molto tempo. Vi posso solo dire che per tutti i premi abbiamo molto discusso tra noi e che è stata un'esperienza forte e importante».
A giudicare dalla sua faccia e quella dei colleghi è legittimo invece pensare che il voto del presidente abbia pesato molto e che il regista svedese abbia interpretato il ruolo dell'uomo solo al comando, grazie a dialettica pronta, voce tonante, prestigio e carisma. «Sul film che ha vinto - aggiunge - vi posso dire che la visione nel Grand Theatre Lumière insieme al pubblico ci ha confermato che questo tipo di cinema, quello che abbiamo trovato anche in altre opere in competizione, è ciò che cercavamo: un cinema capace di appassionare il pubblico, restare nella memoria, parlare un linguaggio che tutti capiscono».
Non una parola invece sui film italiani (una delle maggiori squadre in concorso) e nemmeno su altri grandi dimenticati come Ken Loach. La consegna del silenzio per il momento si impone.