«Per contenere il disagio giovanile servono ascolto e lavoro di squadra»

«Il grave episodio avvenuto alla Scuola cantonale di Commercio (SCC) nel 2018 ha mostrato con chiarezza l’importanza di saper cogliere nelle allieve e negli allievi segnali di disagio o di situazioni personali che possono potenzialmente portare a un evento violento a scuola. Il lavoro preventivo è essenziale. In quest’ottica la relazione, il dialogo, la capacità di ascolto e la fiducia all’interno della comunità scolastica e tra scuola e famiglie sono fondamentali. Indispensabile anche che gli attori scolastici possano adottare comportamenti adeguati nell’affrontare un evento violento, in stretta collaborazione con le forze dell’ordine. L’attacco violento in una scuola rappresenta una tipologia particolare di emergenza». Emanuele Berger è da una «vita» - professionalmente parlando - nel mondo della scuola. Il coordinatore del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS) nonché direttore della Divisione della scuola sa di cosa parla e, soprattutto, sa pesare le parole. Perché quando - nello spazio di sei anni - la SCC di Bellinzona finisce sotto i riflettori per motivi che con l’educazione nulla hanno a che fare, allora delle domande bisogna porsele. E farle a chi è cognito della materia. Il Corriere del Ticino lo ha fatto. E le risposte del nostro interlocutore sono chiare ed esaurienti.
Sinergia con la Polizia
Il DECS ritiene che serva una maggiore sicurezza nelle nostre scuole? Se sì, che tipo di riflessioni state facendo o si possono fare al riguardo? O, meglio: che tipo di strumenti si potrebbero prevedere? Dalla sventata strage del maggio 2018, rileva il nostro interlocutore, il dipartimento «ha intensificato la collaborazione con la Polizia cantonale nel promuovere un approccio che si fonda proprio sulla dimensione preventiva da un lato e sulla capacità di gestire possibili eventi dall’altro. L’evento di lunedì ha peraltro mostrato che direzione e docenti (ma anche allieve e allievi) hanno reagito prontamente riuscendo a gestire con efficacia una situazione potenzialmente pericolosa. Ciò detto, in materia di sicurezza c’è sempre spazio per migliorare e, anche sulla scorta degli insegnamenti che saranno tratti da quanto accaduto, si lavorerà per accrescere ulteriormente il grado di prontezza e la capacità di reazione delle scuole».
Fondamentale la preparazione
La storia, purtroppo, ci dice che nell’ultimo secolo (dal Michigan, nel 1927, all’Iowa nel gennaio scorso, passando per la Scozia, il Giappone, la Germania ed altre infinite lacrime spese in numerosi Paesi) che la scuola è stata teatro - spesso, troppo spesso - di tragedie. Di fronte all’eventualità che possano capitare fatti simili anche alle nostre latitudini, avete previsto una preparazione ad hoc per il corpo docente? In caso contrario, non sarebbe il caso di prevedere un corso per aiutare i docenti e fornire loro gli strumenti per reagire in maniera adeguata? «La preparazione è fondamentale», puntualizza Emanuele Berger. Per poi aggiungere, subito, che dopo quanto successo alla Commercio nel 2018 «sono state organizzate attività di formazione specifiche, curate dal Gruppo strategico eventi critici nelle scuole in collaborazione con la Polizia cantonale. L’ultimo corso si è tenuto lo scorso dicembre e ha visto la partecipazione di 160 quadri scolastici del settore medio e del settore post-obbligatorio - prosegue il direttore della Divisione della scuola -. Durante queste formazioni alle e ai partecipanti vengono illustrate le tipologie di segnali e di comportamenti che possono sfociare in un evento violento, vengono spiegati i comportamenti adeguati da adottare nella gestione di un possibile evento e sono indicate le persone e i servizi di riferimento della Polizia cantonale».
Casi in aumento
Se ne è pentito subito, certo, il 15.enne del gesto che ha compiuto. Presentarsi in classe con una pistola - seppur finta - nei pantaloni per intimorire la docente e sperare così di evitare un’insufficienza, tuttavia, è un atto sul quale non può e non deve calare il silenzio. Un atto che sembra mettere in luce un crescente malessere tra i giovani. Avete notato un peggioramento della situazione nelle scuole medie e del medio-superiore dopo la pandemia da coronavirus? Che spiegazione vi siete dati? Come si può intervenire per aiutare concretamente i ragazzi? «In ambito scolastico emergono sempre più situazioni di giovani confrontati con forme di disagio (psichico, sociale o affettivo) - sottolinea Emanuele Berger -. Di fronte a queste fragilità le risposte che la scuola può fornire, in collaborazione con le famiglie e le altre istituzioni educative, sono complesse e articolate. Un elemento centrale è quello, menzionato, della relazione, dell’empatia e della capacità di ascolto di direzioni e docenti. La scuola dispone inoltre di appositi servizi per affrontare il disadattamento scolastico (di qualsiasi natura esso sia). Si pensi al servizio di sostegno pedagogico delle scuole comunali e delle scuole medie oppure ai docenti mediatori che operano nel settore della formazione professionale e, dal 2018, anche nelle scuole medie superiori».
Lo diceva già Platone (e non per questo bisogna essere d’accordo, ci mancherebbe): «I giovani sono incapaci di resistere ai dolori e ai piaceri». La ricetta è ascoltarli, dicevamo poc’anzi. Ma quando queste emozioni si trasformano in malessere, quando i genitori e/o i docenti non riescono ad entrare nella testa del figlio e allievo le cose possono complicarsi. «Il tema del disagio giovanile, va detto, è fonte di preoccupazione per gli operatori e le operatrici della scuola e per la stessa direzione del DECS - continua il nostro interlocutore -. La direttrice del dipartimento, Marina Carobbio Guscetti, vuole che la tematica del disagio giovanile - che tocca la scuola, ma anche le famiglie e più in generale la società - sia tra quelle prioritarie da affrontare. Ulteriori forme di risposta vanno identificate. Proprio a questo scopo, il DECS e il Dipartimento della sanità e della socialità (DSS), in uno sforzo congiunto, hanno promosso una collaborazione per individuare eventuali criticità nelle risposte attuali e per definire nuovi ambiti di intervento, favorendo nel contesto scolastico un accompagnamento adeguato delle allieve e degli allievi come pure delle loro famiglie».
Collaborazione fra dipartimenti
La Sezione della pedagogia speciale coordina un tavolo di dialogo tra DECS e DSS, appunto, che negli scorsi mesi si è occupato di identificare linee d’azione da seguire (linee che portano, ad esempio, sulla formazione di base e continua dei/delle docenti, sulla collaborazione e su interventi congiunti tra scuola e servizi medico-sociali, sul sostegno agli/alle operatori/-trici, così come sulla tempestività nelle segnalazioni e negli interventi). «Dal settembre scorso le linee di azione identificate sono affrontate in maniera operativa dai diversi servizi coinvolti. Questa risposta al disagio è in linea con il principio di accessibilità del sistema scolastico ticinese e rientra nel lavoro di rete volto ad anticipare situazioni di ritiro scolastico/sociale, favorendo tra le altre cose l’intervento precoce. Tra le misure che indirettamente portano a monitorare situazioni di disagio giovanile vi sono anche l’obbligo formativo sino ai 18 anni in vigore in Ticino dal settembre 2021 e gli strumenti messi in atto per farlo rispettare, tra cui il servizio GO95», annota il direttore della Divisione della scuola.
Agire in modo proattivo, dunque, se possibile. Ma servono forze e mezzi, in tutti i sensi. E, soprattutto, sono indispensabili coscienza e consapevolezza. «È chiaro che per poter intervenire devono tuttavia essere garantite le risorse e il personale necessario. E che il tema, toccando tutta la società, necessita di attenzioni e investimenti anche al di fuori del settore scolastico», conclude Emanuele Berger.


Minacce contro le autorità: ecco come ci si sta muovendo
Non sono mancati negli ultimi tempi in Ticino episodi di minacce verso le autorità. Citiamo, ad esempio, gli interventi in piazza Governo a Bellinzona per fermare degli esagitati. O, più recentemente, la scorsa fine di gennaio, il presunto pacco bomba che ha fatto scattare l’allarme all’Istituto delle assicurazioni sociali sempre nella capitale. Come analizzare questi fenomeni? «In termini generali - spiega il Servizio comunicazione e media della Polizia cantonale - ogni caso è a sé stante per storia, dinamiche e particolarità». Ma i singoli casi vengono naturalmente osservati da vicino: «Premesso questo, gli episodi vengono comunque analizzati e valutati da più prospettive e tenendo conto delle numerose variabili che possono portare a questo genere di problematiche». Al fine di analizzare con «sempre maggior attenzione le singole situazioni, la Polizia si è dotata negli anni di gruppi specialistici nell’ambito della gestione della minaccia, dei giovani e della violenza in generale. Il tutto coinvolgendo, se del caso, gli enti partner in un rapporto di rete e presa a carico». Ecco le cifre statistiche riferite al reato di minaccia degli ultimi anni: erano 563 nel 2017, 523 nel 2018, 511 nel 2019, 443 nel 2020. Nel 2021 sono salite a 629 per poi calare: 485 nel 2022 e 426 nel 2023.
E, proprio su questo tema, è arrivata l’interrogazione inoltrata al Governo dalla granconsigliera Giulia Petralli (Verdi) e cofirmatari: «Minacce e violenze contro il personale statale e parastatale, qual è la situazione?». «Dai segnali ricevuti - rilevano i deputati - sembrano in aumento le situazioni in cui il personale dei settori statali e parastatali si trova a dover gestire situazioni di tensione con l’utenza. Il recente caso alla Scuola cantonale di Commercio è solo l’ennesimo emblematico segnale di una situazione particolarmente tesa e al contempo delicata che necessita da parte di istituzioni e politica delle serie riflessioni su come affrontare queste problematiche».